BREVE
STORIA DI PAVIMENTI FAMOSI
Dall’antichità
in tutto il Mediterraneo si è diffusa la pratica di ricoprire
il suolo vivibile delle abitazioni con pietre, sassi, marmi e quant’altro
offerto dalla natura purchè solido, calpestabile e lavabile.
Le tecniche esecutive che vennero elaborate furono il lastricato
e il mosaico per gli interni e il basolato
per le zone carrabili: ne sono testimonianza infinite opere egiziane,
persiane, etrusche e romane giunte fino a noi.
La funzione simbolica e talvolta narrativa che
il pavimento acquista nei secoli con le più svariate tecniche
e materiali accompagna la funzione fondamentale anche di quei pavimenti
che costituiscono vere e proprie opere d’arte: quella cioè
di consentire il passaggio ripetuto e la massima durevolezza
nel tempo.
Il valore artistico del pavimento si rifletteva nel suo rispettivo
valore economico tanto che il prezzo del lavoro degli artigiani
divenne oggetto di controllo dei vertici imperiali, i quali ritennero
necessario assicurarsi con un calmiere la disponibilità di
mano d’opera a prezzo fisso.
Presero la stessa precauzione i re longobardi con il documento Memoratorium
de Mercedibus Commacinorum, nel quale elencano alcune specializzazioni
tecniche legate al territorio di origine. Il
gusto per l’ornato, in particolare negli edifici destinati
alla celebrazione del rito cristiano continua in occidente per l’opera
dei maestri bizantini che venivano chiamati appositamente
dalla committenza.
Un esempio di pavimentazione musiva particolarmente
suggestiva è quella della Cattedrale di Otranto.
L'opera fu realizzata tra 1163 ed il 1165 da un monaco dell'Abbazia
di S. Nicola di Casole in Otranto: Pantaleone, il cui nome appare
nella parte inferiore del mosaico in corrispondenza dell'entrata
principale della cattedrale.
Quest'opera si estende per oltre 16 metri coprendo interamente il
pavimento della cattedrale.
La diffusione di questa pratica che denuncia una sorta di “horror
vacui” suscita la reazione di Bernardo
da Chiaravalle, il quale nel 1124 la denunciò con queste
parole: “ut quid saltem sanctorum imagines non reveremur,
quibus utique ipsum, quod pedibus conculcatur , scatet pavimentum?
Saepe spuitur in ore angeli, saepe alicuius sanctorum facies calcibus
tunditur transeuntium. Cur depingis quod nocesse est conculcari
? »
(E non finiamo con il non riverire neppure le immagini dei santi
di cui brulica il pavimento stesso, che si pesta con i piedi? Spesso
si sputa nella bocca di un angelo, spesso la figura di qualche santo
è calpestata dai piedi di chi passa. Perché dipingi
ciò che si deve calpestare?)
..... Continua >>>> |